Giacomo 4:4-17

Anche oggi continuiamo nello studio della lettera di Giacomo. Ieri abbiamo considerato nel 4°capitolo che l’amore per il mondo è inimicizia per Dio. Abbiamo anche visto che Dio resiste ai superbi e da grazia agli umili.

Subito dopo Giacomo passa con naturalezza dall’affermazione che sono gli umili ad avere il cuore aperto a ricevere la grazia di Dio, all’ordine diretto ai suoi lettori: sottomettetevi dunque a Dio”. La disponibilità a sottomettersi agli altri è una caratteristica dell’umiltà.

Possiamo ubbidire agli altri per obbligo o per convenienza, senza nessuna sottomissione, ma possiamo sottometterci agli altri solo quando riconosciamo che essi sono più grandi o migliori o più degni di onore di noi.

E’opportuno ricordare anche che la sottomissione agli altri è ordinata nel Nuovo Testamento come un supremo dovere cristiano, (ricordo gli esempi cittadini-magistrati; mogli-mariti; figli- genitori; schiavi-padroni); ma se essa è compiuta per amor del Signore e scaturisce dalla sottomissione totale del cristiano a Dio, si trasforma in qualcosa di più ricco e di migliore che un puro dovere.

In altre parole la sottomissione a Dio e il possesso di uno spirito veramente umile non possono essere separati l’uno dall’altro.

Purtroppo l’orgoglio separa l’uomo da Dio più di qualsiasi altra cosa e gli impedisce quella perfetta sottomissione a Lui che è requisito fondamentale per ricevere le Sue benedizioni; per questo motivo Giacomo fa seguire l’appello alla sottomissione dall’ordine: resistete al diavolo”.

In realtà questo imperativo è un condizionale, la frase andrebbe tradotta così: “se resistete al diavolo, egli fuggirà da voi”.

Il diavolo sa bene che la sua grande speranza di riuscire a distaccare i cristiani dalla volontaria ed incondizionata sottomissione a Dio è quella di riuscire a far leva sul loro orgoglio ferito.

La stessa tattica fu usata dal diavolo anche con Gesù all’inizio del suo ministero terreno e più tardi quando i Galilei furono tentati di farlo Re su questa terra.

Gesù oppose resistenza al diavolo la prima volta facendo ricorso ad un brano delle Scritture, la seconda ritirandosi da solo a pregare.

Così come resisteva Cristo, devono resistere i suoi sudditi; la vittoria in questo caso è sicura, i cristiani infatti sono creature nate di nuovo e diventate “Figli di Dio”;come tali abbiamo lo scudo della nostra fede come nostra protezione

Possiamo leggere insieme alcuni versetti che spiegano molto meglio di qualsiasi mia riflessione il concetto espresso da Giacomo:

  • Noi sappiamo che chiunque è nato da Dio non persiste nel peccare; ma colui che nacque da Dio lo protegge, e il maligno non lo tocca” (I Giovanni 5: 18)
  • “prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del ” (Efesini 6: 16)
  • “ Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il ” (I Pietro 5: 8-9)

La prima parte del versetto 8 dice:

Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi” è allo stesso tempo un parallelo e una contrapposizione alla seconda parte del versetto 7.

La resistenza al diavolo, quando questo si avvicina al cristiano per allontanarlo dal servizio per Dio, ha come risultato la fuga del diavolo stesso; ma quando il cristiano vuole avvicinarsi a Dio, Dio gli si avvicina. Quelli che si accostano a Dio più frequentemente vivono più vicini a Lui e trovano perciò più facile resistere al diavolo. Il diritto ad avvicinarsi a Dio e il sapere che Dio è vicino a loro, sono le caratteristiche che distinguono in misura maggiore il popolo di Dio da tutti gli altri popoli. Nell’antico patto, quello stabilito da Dio in favore del popolo di Israele, erano i sacerdoti ad avere il diritto-privilegio di accostarsi a Dio in momenti precisi e stabiliti, ora nel nuovo patto scaturito dal sacrificio espiatorio di Cristo questo diritto-privilegio è esteso a tutti i credenti. Essi possono liberamente accostarsi al trono della grazia in ogni momento, e lo possono fare anche senza avere le mani cariche di doni sacrificali; il sangue di Cristo è quello che li giustifica e li rende puri agli occhi dell’Eterno. Nella seconda parte del versetto 8 Giacomo, dopo aver incoraggiato i credenti, invita i suoi lettori al pentimento. Egli si rivolge al suo pubblico con una serie di taglienti e pressanti imperativi, li invita in primo luogo a pulire le loro mani e a purificarsi.Questo linguaggio riporta alla nostra mente il cerimoniale sacerdotale previsto nell’Antico Testamento;lavarsi le mani era infatti un dovere rituale e faceva parte di un insieme di azioni che i sacerdoti dovevano compiere per rendersi adatti a compiere i loro compiti cerimoniali.Era uno dei mezzi con i quali si insegnava all’umanità la grande lezione della Santità di Dio. Ai tempi del Signore Gesù questa usanza era largamente praticata e non più confinata ad una specifica parte della comunità. Non solo, era naturalmente associata in modo figurato alla rimozione della contaminazione morale. I cristiani sono costantemente macchiati da questa contaminazione.

Per quanto non più sotto il dominio del peccato, essi commettono peccato; e se negano questo fatto ingannano se stessi.

Per questo motivo Giacomo non esita ad usare la parola “peccatori” e a ricordar loro di lavarsi le mani, cioè di pentirsi perchè come abbiamo ricordato anche prima, il sangue di Gesù Cristo è quello che ci purifica da tutti i peccati. La parola peccatori in quest’occasione è usata per indicare quei cristiani che non adempiono la legge di Cristo a causa di peccati di azione o di omissione. L’influenza del mondo che tende ad organizzarsi lasciando in disparte Dio preme così fortemente sul cristiano da rendergli molto difficile l’evitare completamente quelle contaminazioni morali che ne fanno un peccatore. Soggiogato da tali influenze il cristiano non riesce a fare il bene che vorrebbe fare mentre si trova a fare il male che non vorrebbe fare. Ricordate quello che aveva scritto in proposito l’apostolo Paolo ai Romani?

“Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora se io faccio ciò che non voglio, non son più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me……….” (Romani 7: 19-20 e seguenti.)

Il cristiano quindi alla luce di queste considerazioni, rischia di diventare di animo doppio, incerto e barcollante nelle sue fedeltà, indeciso nelle intenzioni, diviso negli interessi e in conclusione, mancante di quella purezza di cuore e unicità di scopi che il Signore si aspetta dai suoi discepoli. Per ovviare a tutto questo esiste un sistema solo, consacrare e sottomettere tutta la propria personalità a Cristo, confidando nello stesso tempo nella potenza purificatrice dello Spirito Santo. Questo è quello che voleva dire Giacomo ad ognuno di noi quando ha scritto: purificate i vostri cuori” nella seconda parte del V.8.

Che ne dite, è o non è una bella sfida?

Io credo di si e se esamino me stesso non posso fare altro che chiedere perdono a Dio per i miei peccati e le mie infedeltà.

Grazie a Lui però perchè egli mi vede puro in Cristo, purificato dal sangue del suo Figliuolo morto per me sulla croce!!

Giacomo continua poi nel suo ragionamento ed invita i suoi lettori a considerare nuovamente la gravità del peccato nel cospetto di Dio. Infatti quando il cristiano si compromette con il mondo diventando nei fatti di animo doppio, perde in parte la comprensione della gravità del peccato.

Da questo nasce l’invito ad essere afflitti e a fare cordoglio al V.9

9 Siate afflitti, fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto, e la vostra allegria in tristezza!

Giacomo ricorda ai suoi lettori quel misurato atteggiamento di preghiera e di apostolato che è il giusto comportamento del cristiano quando deve affrontare la realtà del peccato.

L’ilarità insulsa, la falsa cordialità, la festosità indecorosa, lo spirito leggero e frivolo, sono tutti comportamenti completamente fuori luogo nella vita di un uomo e di una donna convertiti.

Vi è però una gioia cristiana che nessuno può togliere a chi la possiede; essa scaturisce in un cuore che accetta la Buona Novella della redenzione e si manifesta quotidianamente quando nel cuore del cristiano si fa palese l’opera di rinnovamento intrapresa dallo Spirito Santo.

Dopo le severe esortazioni del versetto 9 Giacomo invita i suoi lettori ad avere un giusto atteggiamento davanti a Dio:

”Umiliatevi davanti al Signore, ed egli v’innalzerà.

Solo quando gli uomini e le donne cercano di vedere se stessi nella loro posizione davanti a Dio, cioè come Dio li vede, riescono ad avere una corretta visione di sé. Se si fanno da soli un’opinione su loro stessi, o se si accontentano dei giudizi espressi nei loro confronti dai loro simili, il risultato sarà certamente non corrispondente alla verità. Il nostro giudizio sarà giusto solo quando ci vedremo con l’aiuto dello Spirito Santo contro lo sfondo della rivelazione di Dio espressa nella Bibbia. Se affrontiamo questa impresa con sincerità e con fedeltà, dovremo per forza riconoscere la nostra pochezza e la nostra indegnità davanti a Lui e saremo naturalmente portati ad umiliarci. Questo però non ci deve portare alla disperazione perchè, dice Giacomo, da questo atteggiamento scaturisce la nostra esaltazione, il nostro innalzamento; sarà Dio stesso ad operarlo, non solo nella vita di tutti i giorni, ma e soprattutto, nell’eternità; ricordiamo che la Bibbia dice chiaramente che gli umili servi di Dio saranno completamente innalzati solo quando regneranno con Cristo in gloria.

Mi piace ricordare che commentando questo versetto Calvino riporta un detto molto appropriato di Agostino:<< Un albero deve spingere le sue radici molto in basso per poter andare in alto; così chi non ha l’anima profondamente radicata nell’umiltà, si innalza per la propria rovina.>>

Tornando a considerare gli argomenti già trattati precedentemente, il parlare a sproposito e senza controllo, le lotte e le contese tra i credenti, Giacomo sollecita affettuosamente i suoi lettori a non parlare gli uni contro gli altri, ad evitare la reciproca diffamazione. La diffamazione per sua natura, giudica senza ascoltare ed è proibita; la diffamazione è una infrazione della legge che diffama e giudica di fatto la legge stessa. Chi infatti giudica il fratello o chi dice male del fratello, presume per se una posizione superiore ed indipendente, quella di giudice.(ricordo che in questo caso Giacomo non sta parlando di una relazione di parentela naturale, ma di quella relazione di fratellanza che scaturisce dalla comune fede in Cristo Gesù). Chi giudica e diffama il fratello non ubbidisce alla legge, ma si comporta come se egli fosse al di sopra di essa. Egli si è fatto giudice; e non semplicemente giudice che serve la legge ma qualcosa di più.

Egli si è fatto legislatore. Ha in realtà stabilito un’altra legge in base alla quale giudica il fratello. Questo equivale a negare Dio, a peccare contro Dio e ad usurpare arrogantemente il Suo posto. Giacomo afferma solennemente  che uno soltanto è il Legislatore e il Giudice;

Dio non si limita a dare dei consigli, ma comanda, giudica ed effettua quanto ha deciso, perchè tutta la potenza è sua ed essa uguaglia la sua giustizia, egli può salvare e può perdere, ma tu, dice Giacomo sottintendendo la risposta, chi sei, che giudichi il tuo prossimo? E’ importante ricordare che Giacomo sta scrivendo a dei credenti, alla chiesa, l’uso continuo delle parole “fratello”, “fratelli”, non ci lascia alcun dubbio; egli scrive evidentemente alla chiesa ma ad una chiesa in cui lo spirito del mondo, privo d’amore, ha fatto pesantemente irruzione.

Siamo tutti chiamati a riflettere su questo.

Negli ultimi cinque versetti Giacomo si rivolge ad un’altra categoria di persone tra virgolette superiore; coloro che si pongono al di sopra non della legge, ma della provvidenza o del destino. Leggiamo insieme prima di ogni commento, i versetti da 13 a 17 di Giacomo 4:

  1. E ora a voi che dite: Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo;
  2. mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi
  3. Dovreste dire invece: Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro.
  4. Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è
  5. Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette

Giacomo 4:13-17

L’introduzione all’argomento è brusca ma serve ad attirare l’attenzione dei lettori; l’apostolo si rivolge probabilmente alla categoria di coloro che commerciavano andando di città in città, ma il suo ragionamento coinvolge tutti coloro escludono Dio e la Sua volontà dai loro propositi. I ragionamenti di questi probabili mercanti non evidenziano soltanto organizzazione e determinazione, ma esprimono la loro presunta irresponsabile indipendenza secolare da Dio, essi ragionano ed agiscono come se fossero in grado di controllare il loro futuro, come se avessero la certezza che quel futuro è nelle loro mani.

Non a caso Giacomo, per indicare la loro presunzione, esprime le loro intenzioni con questi verbi coniugati al futuro, “… Andremo….staremo….trafficheremo…..guadagneremo…..” si tratta della stessa presuntuosa certezza denunciata senza mezzi termini in Proverbi 27:1 <<non ti vantar del domani, perchè non sai quel che un giorno possa produrre>>;

Lo stesso argomento fu anche sviscerato dal Signore Gesù nella parabola sul ricco stolto, che fece i suoi piani per la sicurezza del suo futuro benessere, ma dimenticò di non avere in suo potere la facoltà di stabilire la lunghezza della sua vita e scoprì con stupore e sgomento che il momento in cui i suoi piani sembravano perfezionati era proprio quello in cui non avrebbe più potuto trarne profitto.L’errore fondamentale di queste persone, afferma Giacomo, è quello di mettersi in una categoria assolutamente sbagliata, essi dimenticano di essere creature umane e quindi non in grado di sapere quello che avviene l’indomani.

Ugualmente grave è la loro incapacità di riconoscere la fragilità e la transitorietà della loro esistenza, per questo Giacomo li scuote con la domanda: <<Che cos’è la vita vostra?>>

Questa gente pensa, senza alcun fondamento, di avere una vita sicura, stabile, che resisterà alle varie circostanze. In realtà essa non è che un vapore, che appare per un po’ di tempo e poi svanisce. Il solo fattore certo della vita dell’uomo è la morte, vivere senza pensare che prima o poi, in modo più o meno inaspettato, arriverà quel momento è un segno dimostrativo dell’arroganza umana.

Giacomo indica a questo punto al V.15 la strada giusta:

<< Dovreste dire invece: Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro.>>

Sono queste le parole che uomini e donne dovrebbero avere nel loro cuore.

Da Lui infatti dipende ogni cosa, la nostra vita stessa e tutto quello che faremo o non faremo. Riconoscere questa nostra posizione ci pone nel giusto atteggiamento davanti a Dio, e ci permette di non dimenticare la nostra precarietà. Invece voi, dice Giacomo ai suoi ipotetici interlocutori, vi vantate nella vostra arroganza, pretendete di essere più di ciò che in realtà siete, gli orgogliosi padroni della vita e del tempo; un tale vanto è cattivo, perchè Dio è il Signore della creazione, della natura e del tempo. Giacomo riassume questa parte della lettera al v.17 con un’affermazione in merito al peccato di omissione; le implicazioni di questa affermazione sono di carattere universale, vanno certamente al di là di quanto emerge dai versetti precedenti.

“Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato.”

I mercanti conoscono quale sia il loro dovere, ma sopprimono la loro conoscenza.Impariamo che il peccato non è solo la violazione della legge, ma anche non fare ciò che la legge comanda. Su questo punto l’insegnamento di Giacomo ricalca fedelmente quello del Signore Gesù; in molte sue parabole infatti Egli pone l’accento sullo stato di peccato che scaturisce non tanto perchè si agisce male quanto perchè non si agisce bene.

La severità della sua disapprovazione sembra spesso colpire i peccati di omissione.